fronte ad un’artista con
una propria identità che non guida verso imbarazzanti paragoni con le
sopracitate istituzioni della canzone in rosa.
Le linee musicali in cui si muove Marian possono essere ricondotte a
Suzanne Vega – soprattutto per i momenti intimi come Desideri,
Help e Penny Lane e Luna fortuna – e i Pretenders di Chrissie Hynde per gli
episodi più palesemente rock (ad esempio Storie, La mosca e
Cosa c’è).
La musica però non copre un ruolo ingombrante, gli arrangiamenti –
curati da Simone Chivilò e dalla stessa Marian – tendono a supportare e
seguire la voce e l’interpretazione, seguendo le sue direttive ed
esaltandola nei momenti di maggiore intensità.
In questo secondo disco si analizzano i rapporti di coppia – ma non
necessariamente d’amore sia ben chiaro – e le loro difficoltà; in La
Mosca canta: “stupida mosca che sbatti sul vetro, non vedi che c’è una
via d’uscita ad un centimetro da te?" (l’orgoglio) mentre in Scatole
Cinesi: “siamo scatole cinesi, una dentro l’altra … linee parallele che
non si incontrano mai mai e poi mai” (l’incomunicabilità dietro
l’apparenza).
Ci sono canzoni davvero intense e testi profondamente
significativi, intelligenti e malinconici, che dimostrano maturità e
carattere.
Un folk-rock d’autore che rifiuta i modelli canonici – consapevolmente?
Non si sa, non è comunque un problema – per consolidare la propria
identità che, per quanto possa essere di nicchia, riesce ad essere
estremamente carismatica e comunicativa.
Hamilton Santia |